Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

La guerra in scena, da Euripide a Seneca Con l'agone fra Pirro ed Agamennone, nel secondo atto delle Troiane, Seneca mette in scena un serrato confronto fra le ragioni della guerra e quelle della pace (se non della pace tout court, almeno di quella pace che deve far seguito alla guerra). Siamo all'indomani della caduta di Troia, ed è in discussione il destino di Polìssena, la giovane figlia di Priamo e di Ecuba: Achille, apparso minacciosamente ai Greci, ha chiesto che essa venga immolata sul proprio sepolcro, con una macabra e sanguinosa cerimonia nuziale (191-96). Il figlio di Achille, Pirro (il Neottòlemo dei poemi omerici), difende le ragioni del padre, e reclama il sacrificio di Polìssena quale ricompensa per quanto ha fatto Achille per la causa dei Greci (203-49). Agamennone, in una suasoria che piega finemente le tecniche della retorica alle esigenze drammatiche (250-91), difende le ragioni dei vinti, e formula le regole cui debbono sottostare i vincitori: «che cosa deve fare un vincitore? ed un vinto, che cosa deve subire? Questo va conosciuto in primo luogo. Un potere violento non si regge. Se è moderato dura» (256-59)1 • Nel caso in discussione, Agamennone ritiene ingiusto e delittuoso (289: facinus atrox) il sacrificio richiesto, e si rammarica delle stesse atrocità commesse nella notte in cui Troia è caduta: «La pena è stata pagata già più di quel che bastava» (286-87). La decisione viene alla fine rimessa all'indovino Calcante, che 80

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