Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

l'altra parola-chiave che va in coppia, indissolubilmente, con «guerra», ossia: «morte». L'enunciazione relativa è deferita a quel relitto, insieme risibile ed enorme, che è diventato il barone di Charlus, cui spetta, in un paragrafo memorabile, di fare la chiama appunto dei revenants. Lo trascrivo, una volta tanto, nel testo originale, perché non si perda il martellamento fonosimbolico del monosillabo «mort». Il ne cessait d'énumérer tous les gens de sa famille ou de son monde qui n'étaient plus... C'est avec une dureté presque triomphale qu'il répétait sur un ton uniforme, légèrement bégayant et aux sourdes résonances sépulcrales: Hannibal de Bréauté, mort! Antoine de Mouchy, mort! Charles Swann, mort! Adalbert de Montmorency, mort! Baron de Talleyrand, mort! Sosthene de Doudeauville, mort! ' Et chaque fois, ce mot 'mort' semblait tomber sur ces défunts comme une pelletée de terre plus lourde, lancée par un fossoyeur qui tenait à les river plus profondément à la tombe. Si capisce che Proust lo si può trapanare con profitto partendo da qualsiasi direzione - ma intanto ecco che l'«apriti, Sesamo» offerto dal termine «guerra» ha portato a controllare in re, ossia nel testo, nella struttura, una d�lle faccette del genio proustiano: la capacità di inventare momento per momento e insieme in una prospettiva globale, una economia dell'individuo e del gruppo; vale a dire, di dare voce in maniera ricca e coerente, al psicologico e al sociale. Non sarà difficile riconoscere l'impronta dello stesso genio tanto nella sua psicologia delle masse (mondane) quanto nell'analisi dell'Io, nel «romanzo» dei salons quanto in quello della guerra e della morte. Tant'è che vi serve anche un'analisi rapida e parziale come questa. 77

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==