Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

La pace «esce fuori», «viene giù», «scoppia» come la guerra, pervade tutto come la guerra. Tutte queste scritture dicono che solo la pace appartiene alle loro vite: lo dicono mentre le vite l'attendono e quando la ricevono. La vittoria è qualcosa di estraneo: e non importa neppure sapere chi l'ha cercata, a chi appartiene. Giuriati parla della pace, dice d'aver gridato di gioia il giorno che «è arrivata», d'aver gridato insieme a Italiani, Francesi, Inglesi, Russi, Americani, Rumeni, Portoghesi, Belgi, Arabi, «infine di tutte le razze che aveva forma d'uomo». Ecco la pace, tutte le razze che tornano ad avere «forma d'uomo». Ma Giuriati, che 'fa un lungo racconto del suo tribolato ritorno a casa, non pronuncia mai la parola vittoria. Intanto, nel diario degli altimi mesi di prigionia, s'è perso tra gli altri; non li rappresenta più col suo gesto: la sua voce non ha più quel risalto, s'è confusa con le voci anonime del libro di Spitzer. Ma ecco il suo primo gesto di pace: è finalmente a casa, gli hanno detto dei suoi morti, e, davanti alla madre, «quanto dolore e pianto a vedere la casa deserta», poi apre la cassetta che s'è portato dietro in tutte le peripezie del viaggio-«la cassetta in spalla, un bastone in mano» e «coraggio sempre»-e guarda a una a una tutte le cose che contiene, come se riconoscesse i frammenti-tutto quello che resta-della sua vita laggiù. Chiude la sua storia con questo elenco: un libro panorama del campo di Meschede, una forbice per mia madre, il campanello della chiesetta baracca del campo, una tazza tedesca, una gravatta tedesca, una razione di pane, e il coltello e la bilancia in legno, e la bacinella dove io mangiavo e il cucchiaio con appresso l'anello e lo spago che si teneva legato, piastrino di riconoscimento, corrispondenza, libri di preghiere e le fotografie dei parenti, una medalia di S. Giuseppe trovata in trincea. 61

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