Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

mostrarci, in brandelli di vite superstiti, tutta questa verità: «linguista sum: nihil a me alienum puto»20 . Spitzer non selezionava le parole, le radunava, e poi si limitava a trascrivere le più vive e quelle che, per il risalto che davano agli «elementi tipici», potessero in qualche modo evocarle tutte; per questo badava solo a non trascrivere(se non c'era qualche speciale motivo) i passi in cui «si manifestava l'intenzione di dare una forma letteraria ai propri pensieri o l'influenza dei libri e dei giomali»21. L'italiano popolare Le lettere che Spitzer doveva leggere in quell'ufficio di censura erano «scritte in italiano da prigionieri di guerra e internati italiani in territorio austro-ungarico e da prigionier_i di guerra e internati italo-austriaci nei paesi nemici»22. Ne raccolse molte negli ultimi mesi del 1915 per redigere un rapporto che consegnò alla direzione della censura nel febbraio del 1916; ma negli anni successivi, «fino al novembre del 1918», continuò a stralciare «i passi caratteristici» per questo suo studio personale: e intanto la posta in arrivo aumentava a dismisura- «potevano arrivare in un solo giorno anche centomila missive in lingua italiana(!)»- e ben presto quella degli «italiani d'Italia» cominciò a prevalere su quella degli «italiani d'Austria»23. Si chiamano qui italiani d'Austria i militari del Trentino, del Friuli, del territorio di Trieste, dell'Istria e della Dalmazia arruolati nell'esercito austroungarico come sudditi dell'impero e tutti indistintamente gli internati di quelle terre, non essendo possibile accertare se abbiano o no la cittadinanza italiana(come può averla, per esempio, un triestino che scrive dal campo di Katzenau) . Del resto, Spitzer nel suo lavoro non tenne conto di questa distinzione tra italiani d'Italia o, come anche si dice, del regno e italiani d'Austria: la trovava «innaturale» e 38

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