Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

e cartoline, e anche dai materiali raccolti per la burocrazia delle relazioni, i «passi» che giudicava «degni di nota»: come dire che, eseguiti i suoi compiti con la puntualità di cui era capace, si sottraeva ogni giorno al «fenomeno in qualche modo effimero della censura», e a ogni intento «ideologico», per ritrovarsi a rileggere la posta militare coi suoi veri occhi, e a dedicare a tutte le parole, qualunque cosa dicessero, uno «studio amoroso». Così compose due libri «di guerra»: Die Umschreibungen des Hungers im ltalienischen4 e Italienische Kriegsgefangenenbriefe5. Sono due libri italiani, ma il primo da noi non fu mai tradotto e il secondo, nella sua bella traduzione del 1976, arrivò con un ritardo di cinquantacinque anni a un «pubblico italiano» pacificamente disertante, vale a dire a pochi addetti e comandati da doveri d'ufficio. Non è un gran caso. Pensa a quei monumenti alla lettura mancata che sono le pubbliche biblioteche: chilometri e chilometri di libri ben allineati e accatastati nella polvere e nessun passaggio d'occhio umano. Ma poiché «è notevole ciò che si nota», entrando nei particolari del piccolo caso - uno dei tanti - di cui ti stai occupando, puoi trovare istruttiva la sua singolarità. Non si tratta di far emergere nel mare delle disattenzioni e delle omissioni (della critica, dei lettori, dei perduti limbicoli delle biblioteche) il minimo relitto di una colpa, tanto meno di un errore: si tratta solo di vedere come è andata questa volta. Le Lettere dei prigionieri di guerra italiani pubblicate da Spitzer sono «il più formidabile corpus di testimonianze di appartenenti alle classi popolari sulla loro vita negli anni della prima guerra mondiale»6 ; proprio per questo sono incappate in una censura collettiva. Ancora lei, quel «fenomeno effimero». Benedetto Croce aveva gli ltalienische Kriegsgefangenenbriefe nella sua biblioteca; Adolfo Omodeo, autore di Momenti della vita di guerra: dai diari e dalle lettere dei ca33

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