Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

gettavano la corrispondenza, nella quale avevano segnato in rosso i passi contestati [...] in una scatola, dalla quale la prelevava, a fine di revisione, il cosiddetto controllore addetto alla correzione, generalmente un dirigente del gruppo di censura. A me era stato affidato proprio questo compito, come direttore di uno dei gruppi di censura». Spitzer trovava l'istituzione della censura assurda quanto l'idea di una guerra «corretta» con cui la Convenzione dell'Aja l'aveva, con supresa iprocrisia, approvata. Ma, se censura doveva essere, a lui restava da compiere un dovere ripugnante nel migliore dei modi: la scrupolosa sollecitudine che metteva nel decifrare quelle scritture stentate e nel rovistare in mucchi di parole compitate con tanta fatica, aveva ben poco di fiscale. Spitzer si applicava a sbrigare presto e bene il suo lavoro quotidiano con un pensiero «caritatevole e umanitario»: la posta dei soldati e dei loro familiari, che ingombrava i tavoli dell'ufficio, era un immenso viluppo di attese, di «bisogni» individuali: perché fosse inoltrata il più presto possibile, il censore di «ideali pacifici» lavorava con abilità e senza risparmiarsi. Ma in privato Spitzer si trovò a eludere la censura, a smentire il dovere che ogni giorno, in società, adempiva scrupolosamente. In più di un'occasione aveva dovuto raccogliere dalla corrispondenza che leggeva il «materiale» per una relazione da fare alla direzione, o a uno dei tanti comitati, o al ministero della guerra. Una volta fu 'comandata' una relazione propagandistica, da pubblicare in un giornale triestino: il materiale consegnato da Spitzer e da altri censori risultò così poco pertinente e manipolabile, che il ministero non seppe come utilizzarlo; se si leggono gli stralci che nel febbraio del 1919 Spitzer pubblicò nella rivista «Der Friede» sotto il titolo Weisheit der Kriegsgefangenen3 , si può capire l'imbarazzo del ministero della guerra. Intanto Spitzer, per conto proprio, stralciava da lettere 32

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