Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

fisica che morale. Ciò che von Clausewitz aveva in mente quando scrisse Della Guerra erano le emozioni suscitate dalla guerra reale da lui vissuta, quella napoleonica, cui riconosce il più alto grado di approssimazione al concetto astratto di guerra. Da questa esperienza esce consapevole dei precari risultati della razionalità; la guerra gli spalanca lo studio della natura umana in generale e della soggettività in quanto espressione del potere dell'intelligenza. Nessuno quanto lui riesce a capire che l'assalto delle forze istintuali, le passioni più violente possono coinvolgere anche i popoli più civili e quanto lontano dalla verità sia immaginare la guerra come un semplice e razionale atto di governo o come una specie di «operazione algebrica» preparata dallo Stato Maggiore. All'inizio del capitolo 4 del compiuto libro I, ammonisce "prima di aver conosciuto il pericolo in guerra, se ne ha un idea più attraente che terrorizzante». Ma la comprensione della forza travolgente dell'elemento di violenza quale essenza della guerra non lo farà rinunciare a sostenere con vigore la razionalità, introducendo quella «parete non conduttrice» che impedisce la scarica totale; l'intelligenza intesa come sinonimo di politica. «La guerra mondiale, la rovina mondiale», annotava nel suo taccuino Artur Schnitzler nell'agosto 1914. Quel carattere di mondiale, che come una pandemia infetta l'intero genere umano e coinvolge le fondamenta stesse della civiltà, è stato ciò che condusse Freud, in primo luogo, a riflettere sul problema della guerra e della morte, e in seguito a riformulare la sua teoria sull'attività pulsionale nell'uomo, con la distinzione tra due pulsioni fondamentali: ·Eros e Morte. Alle manifestazioni chiassose di Eros, Freud contrappose il lavoro che giorno dopo giorno, in modo silenzioso e impercettibile, opera la pulsione di 199

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