Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

sopportazione delle sofferenze». Samuel Fuller aveva trent'anni quando si arruolò, soldato semplice, nella 1° Divisione di fanteria con cui fece tutta la campagna sul fronte occidentale, guadagnandosi una Stella di bronzo in Sicilia e una di argento a Omaha, durante lo sbarco in Normandia. The Big Red One (Il grande uno rosso, 1980) è il suo testamento di cineastasoldato, la sintesi delle sue esperienze belliche. Vicino ai settant'anni, si prende il lusso di fare il contropelo alla tradizione dei film hollywoodiani di guerra, dedicati agli eroi caduti, dedicandolo ai superstiti. Dunque, anche a se stesso. (Del suo libro omonimo, parallelo al film, Fuller firmava le copie con la parola «a survivor»). Qualcuno potrebbe dire che le idee sulla guerra che Fuller ribadisce in The Big Red One sono truismi, verità lapalissiane: è una follia organizzata, peculiare alla razza umana; è un inferno dov'è impossibile distinguere il normale dall'anormale; basta la firma su un pezzo di carta o lo spostamento delle lancette di un orologio per far sì che un'azione diventi un atto eroico o un assassinio; è il solo divertimento dei re ai quali i popoli prendono parte. (Quest'idea nel film non c'è, ma piace a me trovarla). Ma l'asse centrale, in questo film dominato dalla morte, è quello della sopravvivenza: in guerra bisogna uccidere per non essere uccisi, per sopravvivere. Qualcosa sul Vietnam - Il tema della sopravvivenza ritorna in Gardens ofStone (1987), l'ultimo film di Coppola in cui l'anziano sergente Clell Hazard conclude sconsolatamente: «Potessi aiutarne almeno uno a tornare...» Fare un film sul Vietnam partendo da un cimitero tra le verdi colline aella Virginia è un'idea che non-manca di originalità, ma non è del regista di Apocalypse Now che questa volta ha lavorato su commissione, mettendosi al servizio di una sceneggiatura già pronta, tratta da un romanzo 191

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