Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

se si toglie il compromesso finale, una riflessione critica. Anche nei film più banali sulla seconda guerra mondiale i soldati sapevano, più o meno confusamente, per chi e per che cosa combattevano: per vendicare Pearl Harbour,per salvare l'Europa e la democrazia, per evitare che la croce uncinata gli arrivasse in casa. Non sanno per chi e contro chi combattono i fanti di Uomini in guerra. Non risulta dal filmquale sia la ragione tattica o strategica per cui il plotone debba conquistare quota 465. Ma quegli uomini ci vanno, attaccano e muoiono. C'è un capo che ordina «Andiamo! », e si va. Verso la fine del film il tenente Benson dice: «La divisione non esiste più, non esiste più la guerra, non esistono gli Stati Uniti.» Gli fa eco a distanza in L'urlo della battaglia (1962) - potente e sconvolgente film di Fuller sulla disgregazione dell'eroismo - un personaggio di soldato: «Quando sarà finito, voglio sposarmi e avere sei figli per raccontargli tutto quello che abbiamo passato. E se non piangono, li prenderò a schiaffoni.» Se si fa eccezione per il primo quarto d'ora di Salerno oraX (1945) di Milestone e per qualche momento di/ forzati della guerra (1945) di William Wellman, Uomini in guerra è insieme con L'urlo della battaglia (1962) e Il grande uno rosso (1980), il solo film americano del dopoguerra che può essere paragonato a un romanzo come Il nudo e il morto di Norman Mailer, anch'esso ridotto per lo schermo, ma in modi riduttivi, da Raoul Walsh. Nudo si trova l'uomo in un universo dove pietà l'è morta, e morta la· speranza-. Si sa quale fu la fortuna di Il ponte sul fiume Kwai (1957): una pioggia di Oscar, premi e segnalazioni minori, elogi dei recensori, milioni .di spettatori in tutto il mondo. Quest'unanimità di consensi induce più di un sospetto. La si spiega con la sagace complessità tematica, di profilo tale da accontentare tutti senza irritare nessuno, e 188

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==