Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

to con un titolo nuovo (Armored Attack) e ventitré minuti in meno per ridurre la parte sui soldati sovietici bravi e buoni. La guerra fredda era alle porte. Dopo il 1945 il flusso continuò per una decina d'anni. Era la prima volta, dopo la guerra di Secessione, che il popolo americano usciva da un conflitto patito, se non sul proprio territorio, nelle sofferenze e nel sangue di milioni di suoi cittadini. Nella risposta che il pubblico dava assiduamente al «box-office» confluivano la curiosità, l'interesse le sollecitazioni morbose, le suggestioni della memoria. E l'orgoglio della vittoria. Nei confronti della prima, gli scopi della seconda guerra mondiale erano molto più nitidi: uno scontro non tanto di popoli, quanto di idee, di concezioni di vita. Libertà e democrazia contro dittatura e totalitarismo. Cadute le bardature propagandistiche e apologetiche, escono film con un taglio più critico e un'analisi più approfondita. Fanno spicco quelli sui reduci: I migliori anni della nostra vita (1946), scritto da Robert Sherwood, diretto da William Wyler, decorato con una mezza dozzina di premi Oscar (e un titolo passato in proverbio, almeno nell'uso giornalistico); Uomini (1950), scritto da Carl Foreman e diretto da Fred Zinnemann, esordio di Marlon Brando; Anime ferite (1946) e Odio implacabile (1947) di Edward Dmytryck. La guerra era appena finita che si profilò all'orizzonte la paura rossa: i nodi dell'alleanza con l'Unione Sovietica venivano al pettine, dalla pace si scivolò nella guerra fredda. Poi la Corea, e le regole della propaganda ricominciarono a funzionare, nonostante la riluttanza degli Stati Uniti ad assumere il ruolo di poliziotto a livello mondiale. Intanto il senatore Joe McCarthy riusciva a prendere il coltello per il manico, mettendo in moto, a ondate successive, i comitati per le attività antiamericane per la «caccia alle streghe». Con la medesima baldanza, anche se con minore con186

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