Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

fondamento alla vita, scriveva Jaspers, chi è disposto a esporre la propria vita e chi la sacrifica, lasciandosi continuamente consumare dall'impegno assunto». La valorizzazione della forma di vita non può avvenire solo costruendola a rischio della vita: è un modello romantico che si sottende a tutte le forme di dialettica tra esistenza e valorizzazione, tra presente e futuro. Jaspers faceva interagire questo modello con l'immagine del rischio da parte dell'Occidente di soccombere a un totalitarismo che è l'integrazione dell'essere umano, capace di libertà e di trascendenza, in un sistema di oggetti e di comandi assoluti e incontrollati, cioè nella pianificazione sociale della sua morte. La bomba atomica, in questo racconto filosofico, è l'altro aspetto dell'annientamento. L'epilogo di Jaspers era ovvio: per evitare il rischio dell'annientamento del totalitarismo, era necessario essere disponibili al sacrificio, cioè alla catastrofe atomica. Questo linguaggio filosofico normalizzava il pensiero della guerra atomica, ne forniva gli schemi indispensabili per la sua accettazione secondo un senso tradizionale che apparteneva all'immagine filosofica dell'uomo occidentale. Il passaggio dalla crisi alla catastrofe, dalla distruzione al sacrificio era giustificato dalla costruzione del rischio totalitario come rischio definitivamente mortale. L'unica speranza di uscire da questo destino era data dalla possibilità di una educazione dell'umanità tramite una «conversione»: un aderire al proprio orizzonte di esistenza senza assolutizzarne il senso e il valore. A questo modo si sarebbero disinnescate le ragioni del totalitarismo e anche della violenza e dell'aggressione. Solo la mondanizzazione della filosofia avrebbe aperto la strada per una sicura salvezza. Questo è un modello di tradizione illuminista, e non è detto che, almeno la società europea, non lo abbia in qualche modo incorporato al proprio costume. A Jaspers allora rispose con il suo celebre Diario di Hiroshima, il filosofo Gunther Anders: la predica di Jaspers 171

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