Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

ti, ·cioè il linguaggio, per consentire la nascita di una nuova immagine ricca di potenza espressiva. Il tema della guerra ha subito un processo di de-filosofizzazione, sul quale giocano alcuni elementi importanti. Uno: rimane certamente nella memoria la parentela che si istituì sul modo di parlare la guerra tra alcuni lessici di quell'area che Lukacs chiamò dell'irrazionalismo e la retorica politica dei totalitarismi europei. Secondo: l'intervento di discipline che cercano di strutturarsi, secondo una loro positività, e in questo modo non procurano immagini filosofiche, ma saperi determinati della guerra. Infatti non esistono di per sé «problemi capitali» che chiamino a sé la filosofia: questa è solo una immaginaria relazione di senso comune densa di presupposti non analizzati. Anche se esiste sempre la possibilità di un intervento filosofico su quei saperi positivi. La sensazione è che l'universalità dell'immagine filosofica si contrae nella zona della argomentazione di un'etica della pace. All'inizio degli anni Sessanta era stata la considerazione delle mutate condizioni materiali della guerra, con la proliferazione degli armamenti atomici e termonucleari (quel «referente» che sin dall'inizio ho indicato come ele� mento indispensabile della riflessione), a sollecitare una riflessione filosofica. La novità radicale consisteva nel fatto che nelle epoche precedenti qualsiasi guerra, anche quella ad alto potenziale distruttivo, avrebbe potuto essere pensata come una crisi su una linea di continuità storica. La condizione della guerra con armamento atomico, per la prima volta, rompeva lo schema di questo pensiero, e costringeva a perdere il presupposto della continuità, sia per l'immensità immediata della distruzione, che per gli effetti che essa avrebbe avuto nel tempo. Su questi, soprattutto dal punto di vista della documentazione, vi fu una vasta letteratura. Ma dal punto di vista filosofico le posizioni emergenti furono sostanzialmente due, quella di Jaspers e quella di Gunther Anders. «Darà un 170

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