Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

E tuttavia a questo quadro che, nel suo insieme, è l'habitat della guerra, si contrappone la costruzione storica di una serie di dimensioni dall'aura cosmopolitica: lo sviluppo dei commerci, la forza del denaro, che presuppone una eguaglianza per la sua circolazione indipendentemente dai modi in cui si distribuiscono le quantità, l'affermazione della libertà religiosa e della libertà civile, infine, l'idea diffusa che la felicità sia lo scopo della vita intesa nella sua centralità individuale. Il problema della guerra e della pace è quello di fare in modo che questi elementi estremamente realistici, risorse «provvidenziali» possano essere in grado di corroborare un quadro politico e statuale dominato dalla morale e dalla costituzione di un nuovo patto. Kant, roussoiano nei valori politici, è del tutto hobbesiano sulla natura del patto. C'è una «malvagità della natura umana» che richiede di essere vinta facendo perno proprio sul sentimento dell'egoismo che al rischio preferisce la sicurezza. È attraverso l'elaborazione della necessità «di sottrarsi ai mali che gli uomini si recano a vicenda» che nasce il diritto come livello minimo di convivenza. Ma, si chiede Kant, a che cosa serve questo addomesticamento della guerra civile, se poi la violenza si ripresenta a livello delle relazioni internazionali degli stati? Se la guerra è la realtà del rapporto tra gli stati che deriva dal modo in cui sono governati, la pace, come la libertà, è un'idea di ragione, cioè non una re�ltà positiva, configurabile come un oggetto, ma uno scopo, una direzione, un obiettivo e un presupposto di valore che si pone a fronte della coscienza, e della sua capacità di libertà. Ma questa idea di ragione non è «teorica», cioè astratta secondo la limitazione di senso che immediatamente il realismo politico le infligge. Essa presenta alcune relazioni fondamentali. La prima dà un contenuto alla politica che realizza nella sua azione una massima etica, cioè uno 163

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