Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

ritorni. E il sentimento di vivere come una reincarnazione, gli fa desiderare soprattutto che la propria morte debba essere una morte senza resurrezione. Come è possibile trovarsi impegnati in una lotta a morte con qualcuno che è scomparso, se il nonno è morto, o non appartiene comunque più se non marginalmente, data l'età, alla nostra vita? Questo primo tratto con cui è possibile connotare una «nevrosi di guerra», sta a indicare che qualcosa di strutturale è impegnato in questa lotta. Non è una lotta per ambizione, invidia, rivalità tra pari, ma non è nemmeno la spinta a prendere il posto del padre. Il morto di cui si tratta è il morto rispetto al vivente, quella connotazione cioè che abbiamo altre volte visto costituire il primo passo, sull'orlo tra angoscia e luogo della fobia, all'età di quattro anni, nella formazione del soggetto di fronte alla prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico. Il vivente portava (vedi il caso freudiano di Hans) la connotazione del pene e seguimmo nel caso del piccolo Giacomo4 come il nonno, unito al fuoco, dovesse essere messo a contatto con un acqua (nonna) al maschile, perché con l'attribuzione di un pene alla nonna fosse possibile respingere il nonno al di là del limite del vivente. Solo così, per Hans, per Giacomo, per il piccolo Riè:hard di Melanie Klein, era possibile che «i morti non tornano, vero?»5 Quella in cui si trova ingaggiato il «nevrotico di guerra» è questa lotta, lotta del soggetto per la propria sopravvivenza in prossimità di quel luogo psichico, ma esterno ritaglio di realtà, che abbiamo individuato appunto come «luogo della fobia»: contemplato da Hans, da Richard, dal piccolo Darwin, dalla finestra, e attraversato da una barriera, la barriera del Dazio, che abbiamo chiamato molle, giacché viene con percorsi immaginari tentata là dove è chiusa, mentre l'apertura realmente esistente per esempio nella cinta del Dazio di Hans, viene 16.

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