Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

cum primis et celebratum: «Dulce bellum inexperto», cioè «può amare la guerra solo chi non ne ha l'esperienza». Il proverbio si rifà all'Arte della guerra di Vegezio e un frammento di Pindaro, e mostra la frattura tra il discorrere della guerra e il prendervi parte, tra l'immaginare e il dipingere la guerra entro un qualsiasi quadro intellettuale e il provarne sensibilmente l'esperienza. La saggezza, un poco Ovvia, della contrapposizione, prende una sua misura senza ritorno se ci conduce a riflettere che i due luoghi del parlare della guerra e dell'esserne investiti sono non solo differenti, ma incompatibili, e il compito dell'insegnamento cristiano è proprio quello di non consentire l'inganno dello sdoppiamento che introduce leggi, doveri e rapporti tra gli uomini che obliterano l'unità del messaggio evangelico che si rivolge all'unità dell'anima. Gli argomenti che legittimano la guerra costituiscono un «altro mondo» rispetto a quello che, spontaneamente, sarebbe costituito dalla natura particolare dell'uomo. Il corpo umano è fragile, ha bisogno più di un contesto naturale, come capita per gli altri viventi, di una disposizione sentimentale e della amorevolezza che gli selezionino condizioni attraverso cui si organizzi la possibilità della vita. L'uomo è discorso, ratio, riso, lacrime, sapere, conoscenza. E noi, creature umane, non abbiamo né motivi, né strumenti naturali per condurre la guerra, come invece, talora, capita tra le specie animali. Le nostre ragioni di conflitto sono sempre futili, artificiali e parassitarie: esse sono ricavate da significazioni simboliche alle quali, da · chi ha il potere per compiere questo spostamento dell'esperienza, viene dato un valore essenziale che colora la vita di abbagli nefasti capaci di allestire le scene di un grandioso teatro delle crudeltà. Poiché nella pratica del conflitto gli uomini sono soggetti a una metamorfosi, acquisiscono l'attributo di esseri crudeli, e l'apprendimento della crudeltà non svela in Erasmo come in Agostino, il segno di una colpa originaria che il fuoco della guerra 150

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