proprie di una filosofia che investono sia le modalità, che gli oggetti stessi non sono affatto indeterminate, e la libertà di riflessione incorpora sempre un ventaglio di condizionalità. Quanto alla tradizione in cui si trovano le immagini filosofiche della guerra, essa si identifica con la tradizione moderna e occidentale della filosofia, proprio in quanto essa, attraverso una continua opera di commento, di interpretazione e, da tempo ormai, di vera e propria azione conservativa, si è costruita come continuità che, .al di là delle innumerevoli fratture e diversificazioni, oblii e scoperte, presenta una sua omogeneità che ha il suo specchio più ovvio nella istituzione dell'insegnamento. Fuori da questa tradizione esistono certamente altri modi molto importanti di simboleggiare la guerra e la pace (basti pensare, come solitario ma sensazionale esempio, alla riflessione complessa che induce un termine dell'Antico Testamento come Shalòm), e tuttavia avrei una notevole difficoltà a definirli filosofici, se non allargando la parola filosofia, come in certa antropologia del resto è avvenuto, a «visione del mondo», e dando a «visione del mondo» un significato che, indebitamente, è ricavato solo attraverso il contenuto, e anche non attraverso la forma della sua produzione e della sua comunicazione letteraria e sociale. Il limite temporale che ho scelto è quello dell'epoca comunemente definita moderna, e questo per una ragione molto differente. Qualsiasi rappresentazione simbolica della guerra ha avuto, ed ha, un referente materiale, e a me sembra che nell'epoca moderna, al di là delle notevoli differenze tecnologiche, strategiche e operative, vi sia anche un elemento di continuità per quanto riguarda quello che ho chiamato il referente materiale, che è dato dal sistema degli stati nazionali. Si impongono ancora due riflessioni preliminari. Questo non è uno studio storico. Lo studio storico, quando non è una messa in scena esteriore, restituisce i discorsi, 146
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