Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

dotto Milton, nel suo Paradisoperduto, a collegare strettamente Sin (la colpa) e Death (la morte), a fare anzi della morte il «figlio» della colpa «prima ancora che sulla terra vi fosse il peccato e fosse giudicato» (libro X, vv. 229230)49. Non seguiremo passo passo il testo di Freud e le sue argomentazioni, ma ci limiteremo a sottolineare alcuni motivi che possono apparire - da vari punti di vista - di particolare rilievo. Non si può certo rimproverare a Freud, in tutta la sua opera, un atteggiamento sia pur vagamente «rousseauviano» di fronte al «buon selvaggio»; al primitivo. Proprio perciò colpisce quanto egli qui osserva sul diverso comportamento del «selvaggio sia esso un Australiano, un Boscimano, o un Fuegino», e «di noi uomini civili» di fronte all'uccisione, da parte sua, del nemico. Il primo non è affatto un omicida impenitente. Quando rientra vittorioso da una spedizione di guerra non può penetrare nel suo villaggio o toccare la sua donna prima di avere espiato con penitenze, spesso lunghe e fastidiose, le uccisioni compiute in guerra. Naturalmente ciò non si può spiegare facendo ricorso alla superstizione: il selvaggio teme la vendetta degli spiriti di coloro che ha ucciso. Ma gli spiriti dei nemici abbattuti non sono che l'espressione della sua cattiva coscienza per il sangue versato; al fondo di questa superstizione sta una finezza d'animo che in noi uomini civili è andata perduta50 • «Noi uomini civili», infatti, non abbiamo - secondo Freud questa «finezza d'animo»: 122 Quando la lotta selvaggia di questa guerra sarà stata decisa, il combattente vittorioso tornerà felice alla sua casa, alla sua donna, e ai suoi figli, in nulla trattenuto e turbato dal pensiero dei nemici

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