Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

6 -Sopportare la vita Del carattere insieme autoriflessivo e dialogico dei due scritti sulla guerra, ci dà conferma - sin dal titolo - il secondo di essi, Il nostro modo di considerare la morte, ove Freud riprende il testo di una conferenza da lui tenuta nell'aprile 1914 al circolo ebraico B'nai B'rith. «Nostro», infatti, sta a significare «di tutti noi», egualmente coinvolti nel «turbamento determinatosi nel nostro modo, finora ben fermo, di considerare la morte». Al di là di una superficiale accettazione della morte, infatti, «c'era in noi l'inequivocabile tendenza a scartare la morte, a eliminarla dalla vita». Allorché essa ci colpisca direttamente, per la scomparsa di «una delle persone che ci sono più prossime: genitore, coniuge, fratello, figlio o intimo amico», subiamo un «crollo completo». Nell'illusione di poter «escludere la morte dal libro mastro della vita» ci imponiamo «molte altre rinunzie ed esclusioni». «La vita si impoverisce, perde interesse se non è lecito rischiare quella che, nel gioco dell'esistenza, è la massima posta, cioè la vita stessa». La «pluralità di vite di cui abbiamo bisogno» viene, semmai, ricercata «nel mondo della finzione, nella letteratura, nel teatro. Là troviamo ancora uomini che sanno morire; sì, uomini anche capaci di uccidere»48 • Ma «la guerra è destinata a spazzar via questo modo convenzionale di considerare la morte. La morte non può più oggi essere rinnegata; siamo costretti a crederci». E qui di nuovo Freud, come nel primo dei due saggi dedicati alla guerra- e seguendo la scorta di Totem e tabù - si rifà all'uomo primitivo e alla sua complessa ambivalenza nei confronti della morte: morte propria, morte dell'estraneo o del nemico, morte di una persona cara. Dall'intrico di questi sentimenti e atteggiamenti emerge quel «senso di colpa» che Freud, proprio in Totem e tabù aveva cercato di illustrare, e che, seguendo altre vie, aveva in121

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