Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

puntuali, si dirige il lavoro di Pfeifer, che ne individua la necessità nel meccanismo di ripetizione: il processo di suddivisione rende meno terribile, rende anzi quasi irriconoscibile l'uccisione del padre (e l'incesto). La teoria dei giochi di Pfeifer rivela ciò che la filosofia analitica nasconde. Ma ciò che più mi interessa in questo momento e che accomuna la pubblicazione della «posizione della psicoanalisi in rapporto alle principali teorie dei giochi» al mio saggio sul rapporto tra colorazione e trauma, è il rapporto che incomincia a delinearsi con ciò che Freud dichiarerà dopo la guerra: non abbiamo fatto a tempo a scoprire il legame tra la nevrosi di guerra e le strutture psichiche, l'affetto cioè che l'accomuna alla ordinaria nevrosi. Per Pfeifer il gioco si stabilisce in relazione al padre, e si colloca tra le altre formazioni dell'inconscio, il sogno, il sintomo, il fantasticare trovando così nella teoria psicoanalitica,. non si tratta di psicoanalisi applicata, un suo specifico statuto. Il gioco si manifesta come una messa in atto, una prima realizzazione, una piccola attuazione di qualcosa di molto drammatico, reso più sopportabile dal fatto che il padre sia fatto in minutissimi pezzi piuttosto che ucciso in un sol colpo come il padre di Edipo, e che questi pezzetti siano visti distinti, suddivisi, distribuiti tra molti giocatori. Il motivo dell'evidenza, della chiarezza della «rappresentazione perspicua» in Wittgenstein, è assai somigliante alla funzione anticipatrice che legammo alla «silhouette», sembra quasi un preparativo all'awento del trauma della guerra. Una chiarezza che, anticipata in una vividezza che non dà conoscenza, permette di andare incontro al grande shock di un colpo terribile, e di cui forse solo Keynes, a guerra finita, si serve per capire, in ritardo su quel bagliore, quanto esso include della ripetizione: i Trattati di Parigi preparano un'altra spaventosa carneficina. 6

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