Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

guardie storiche, soprattutto il Surrealismo, e che parte dalla più che ovvia constatazione del comune uso della stortura delle associazioni: basti pensare al famoso incontro di Lautréamont tra un ombrello e una macchina da cucire sopra un tavolo operatorio, che sembra un modello paradigmatico di nonsense, ai ready-made di Duchamp che lavorano sulla decontestualizzazione e sul disturbo associativo, ai quadri di Magritte, che rendono sistematico lo «sbaglio» delle associazioni. Paul C. Ray sostiene la maggiore potenza dell'espressione dei Surrealisti rispetto a Carroll, perché in loro agisce la forza e la consapevolezza di una chiara e precisa intenzione eversiva.10 Ora, nel nonsense non ci può essere alcuna intenzione del genere perché agisce prima di tutto il rifiuto a determinarsi su un contenuto specifico. E se ne deduce che la funzione dell'arguzia nel nonsense, oltre a non essere quella liberatoria del motto di spirito, non può essere neppure quella della predeterminazione di un programma estetico. Ma, una volta stabilita questa decisiva diversificazione, conviene però notare che il giudizio di valore di Paul C. Ray non regge troppo, se pensiamo per esempio che la disgregazione delle categorie di spazio e tempo e le eversioni linguistiche presenti nell'opera di Carroll non sono certo meno incisive e definitive di quelle dei Surrealisti. Quando si affronta il problema delle associazioni, si finisce inevitabilmente per formulare delle teorie sui processi mentali. Izzo parlava di «disarticolazione o slogatura delle categorie mentali».11 Nello studio della Sewell, la mente ha il ruolo principale, si costituisce come categoria estetica, perché è il luogo dove si forma o si consuma l'accadere letterario, con le stesse modalità sia per l'autore sia per il lettore. Il nonsense, ella dice, è un gioco che la mente si concede per garantire a se stessa la sopravvivenza della propria tendenza all'ordine contro l'opposta ten174

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