Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

In altri termini, ma sempre semplificando, è «come se>; la «realtà» appartenesse solo ai processi «corporali»; d'altra parte io posso considerare solo «la loro rappresentazione». Inoltre, di questa «rappresentazione» io posso «sapere» solo attraverso la parola o meglio «nella parola» e in una determinata situazione particolare, quella della analisi. IV Se questo è vero, ne derivano, mi sembra, alcune conseguenze rilevanti. Ne indico alcune. In primo luogo, non è possibile cercare e trovare in Freud un'etica. L'asserzione sembra forse drastica, ma ritengo necessario rileggere Freud come un esponente di «dottrine materialistiche». Certo, il «materialismo» non esclude un'etica. Ma sarà un'etica all'interno del materialismo. Per questo, sulla base di un esempio, forse minore, come la «non dottrina» degli affetti, mi sembrano da considerarare non necessari (e destinati all'insuccesso) i tentativi di «convertire» Freud ad ogni possibile spiritualità, l'attribuzione a Freud di una sensibilità morale, il riconoscergli i limiti e i caratteri della borghesia ebraica etc. In secondo luogo: se è la situazione analitica a determinare la possibile conoscenza di un certo processo, all'interno del quale alcune «parti» vengono conosciute nel loro operare (ad esempio, ma solo ad esempio, gli affetti), bisognerà prendere atto che queste parti sono viste da Freud «solo per quel che di esse è conoscibile» nella detta situazione. Pertanto, non si può chiedere cosa siano gli affetti etc. in Freud se si dimentica che essi valgono solo in quanto figurano in «quella situazione». La conseguenza è che non si deve dimenticare il carattere «secondario» 127

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