scritti analitici, il termine affetto non subisce varianti di significato, cioè, non passa da un «vocabolario» «neurologico» a un vocabolario psicologico, non subisce una «conversione» al psicologico (e dunque non «reca traccia» di una sua cosidetta origine, etc.). Una seconda osservazione, di carattere assertorio, è che Freud, per gli affetti, non si cura di «definirne» la natura e il carattere (lo fa, talvolta, in modo discorsivo) quanto di poter osservare il loro operare, la loro «parte» nello svolgersi di un certo processo. Voglio dire, - e questo è un rilievo che mi sembra valga in generale per Freud -, la sua «ricerca» considera il «ruolo» degli affetti (anzi, meglio, dell'affetto) in un certo processo. È, si potrebbe dire, una descrizione operativa, ben più che «conoscitiva». Per questo non possiamo chiedere a Freud cosa è l'affetto (e se lo chiediamo avremo risposte parziali e contraddittorie), ma possiamo sapere da lui come opera l'affetto in una certa «situazione». Sarà quindi, quella di Freud, la proposta di una Topica in cui l'affetto si «muoverà» e sarà in connessione con, etc. Per questo, occorrerà trovare, là dove Freud parla di «affetto», i termini con cui affetto si colloca nella topica, e solo in relazione agli altri termini (spesso altrettanto indefiniti) riceverà un suo «significato d'uso». Vediamo alcuni esempi: «(...) All'interno delle funzioni psichiche va distinto un qualcosa - ammontare di affetto, somma di eccitamento-, che ha tutte le proprietà della quantità (anche se non possediamo alcun mezzo per misurarla), un qualcosa suscettibile di aumento, diminuzione, spostamento, scarica e che si propaga sulle tracce mnestiche delle rappresentazioni quasi una carica elettrica sulle superfici dei corpi». Come si vede, non è una «definizione»: una cosa che «ha tutte le proprietà della quantità» ma che non sappiamo come misurare, è una contraddizione (a meno di non rifarci, ma sarebbe troppo «artistico», alle considerazioni 120
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