Il piccolo Hans - anno XIV - n. 55 - autunno 1987

1926 mentre rivede il «trattato», appare, se l'accostiamo con la cura di Jablenski, in una fase di ripensamento delle prospettive psicopatologiche. La vigilanza critica, rigorosa sempre, lo porta a vedere come la tessitura paziente, ordita attraverso otto stesure (la nona edizione, postuma, riprende i caratteri dell'ottava),16 abbia prodotto un bozzolo di seta, elegante ma chiuso. L'interrogazione estrema è ansiosa di capire quale farfalla un giorno s'alzerà in volo da questa crisalide. Nell'autunno dei suoi giorni, egli soppesa l'edificio che ha costruito, considera le difficoltà che l'assediano, le incrinature che vi si rivelano e annunciano l'instabilità, il crollo delle certezze. Rivede allora i «modelli», valuta la fatica nel tenersi in equilibrio tra la pressione riduttiva del «biologico» e la messa a fuoco della centralità del «soggetto» da parte delle nuove psicologie. Le forme, vagheggiate a Dorpat, sono fantasmi che di continuo lo visitano, 17 mentre la psichiatria tedesca è sul punto di precipitare nel delirio del Terzo Reich.18 L'autocritica dell'ultimo Kraepelin, che non è sconfessione, deve far riflettere oggi che la clinica psichiatrica conosce un analogo momento di instabilità, di non definizione, tra le suggestioni di un neopositivismo, a tratti sottilmente ideologizzato come l'antico, e le interpretazioni psicologistiche, spesso in crisi e non esaustive per chi voglia rigore dalla scienza. Ritrovare le forme: è questa attitudine linneiana che Mondella riconosce a Kraepelin quale testimone nevralgico della psicopatologia tedesca.19 Rispetto ad altre linee di sviluppo, quella tedesca è la più orientata in senso «categoriale», e per naturale disposizione e per il peso della tradizione kantiana esplicitamente seguita da Heinroth.20 Con la genealogia delle classificazioni di Kahlbaum21 si inaugura una riflessione sui sistemi nosografici. La posizione del clinico di Gorlitz muove, come quella di Grie100

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