Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

zione ad assumere certi significati. Sake, come segni predisposti. Mirati, mobili davanti a chi deve percepirli, e finché non li percepisca. In questa animazione del reale, il mondo delle cose, sempre soprattutto cose di natura, ritorna nelle poesie fortemente segnato, e dopo la parabola che abbiamo tracciato, dopo il periodo glorioso, e dopo il fading, torna fortemente deformato, minaccioso sotto la pressione costante di quel disagio della civiltà. L'attraversata della caducità non ha esito insistente, luttuoso, si limita a riportare il senso della fine degli oggetti di natura sulle cause esterne, sull'avanzare delle città, sull'insieme delle opere dell'uomo. In questo modo ciò che resta, resta deformato, spinto sempre più lontano da una forza che non si arresta, e l'«io» del poeta che scrive sente sempre di più, di fronte a quell'avanzare, la solitudine, la lontananza. Lontananza da Dio, certo, ma anche in parte dagli oggetti che nel dialogo interiore funzionano ormai come angosciato correlato esterno. Ora torniamo al testo, a riconoscere i segni di quel disagio della civiltà nel tema della città, delle foglie e delle rovine, ricordando solo di nuovo, e di passaggio, che la successione cronologica, nella quale abbiamo disposto e mantenuto i vari temi, non può che valere come ricostruzione, linearizzazione di quanto nel testo è sovrapposto, istantaneamente articolato. Ad esempio il discorso sul fading è una estrapolazione da quella particolare operazione che è la presa d'oggetto hopkinsiana: come un punto d'arresto nella marcatura, quel momento che precede il suo manifestarsi, e che compare poi nudamente, per sé, in poche poesie, come abbiamo visto. Allo stesso modo parlare di ritorno dell'oggetto, e del suo allontanarsi, nell'ultimo periodo, significa solo tirare linee di senso, accentuare valori di intellegibilità. 94

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