Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

Dai punti segnati, esterni, a metà strada fra oggetto e occhio, allora «si sparge colossale un sorriso»: e la cosa che mira soltanto al movimento, davanti all'immobile fiacchezza del beholder, risveglia finalmente qualcosa, «muove il fresco vento della meraviglia sulla nostra mente». La teoria del sake, della presa sulla cosa, ricorda le note di Freud sui tratti dell'identificazione: piccoli elementi, dettagli particolari che si fissano in «un'identificazione parziale, assai circoscritta che si appropria soltanto di un'aspetto della persona che è oggetto d'identificazione.», della persona, o per noi qui, della cosa. Dunque Hopkins ricerca tratti, «piccole differenze», che in senso lato chiama sake, «segni»: Sake è una parola che trovo conveniente da usare: quando l'ho usata non sapevo di farlo nel modo in cui comunemente lo usa il tedesco nella forma sach [successivamente precisa: la parola è saçhe, non sach, eccetto nelle parole composte]. E lo stesso sake di «for the sake of», forsake, namesake, keepsake. Intendo con ciò quel modo di essere che una cosa ha fuori di sè, come una voce con la sua eco, un volto con il suo riflesso, un corpo con la sua ombra, un uomo con il suo nome, la sua fama o la memoria, e anche ciò in virtù di cui particolarmente la cosa ha questo suo essere fuori, e questo è qualcosa di distintivo, marcato, specificamente o individualmente parlando, come per una voce e un'eco la chiarezza; per un'immagine riflessa la luce, la luminosità; per un ombra proiettata il volume del corpo; per un uomo il genio, le realizzazioni, l'amabilità, ecc.20 Altrove Hopkins parla di predisposizione - prepossession - delle parole, ma anche delle cose: dunque predisposizione come modalità di aggancio all'esterno di elementi atti a essere fissati, come nelle parole predisposi93

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