Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

Anche la pace è perduta nella guerra dilagante che si va • affermando: è la guerra di quel sonetto - «Peace» (22) - che abbiamo già visto funzionare come un cardine, ed essere la prima «poesia dell'inquietudine»: Whatpure peace allows I alarms of wars, the daunting wars, the death of it? Guerra che è poi il tema del sonetto «terribile»44: To seem the stranger lies my lot, my life. Il poeta è inerte, stanco del suo esilio accanto al luogo dove la guerra infuria. Ma questa è ormai the war within, la guerra interiore {49) dell'ultimo periodo. Il disagio della civiltà Dunque è il disagio della civiltà che dentro l'opera di Hopkins segna il progredire del tempo, e porta a compiersi, inarrestabile, una perdita. La bellezza, insieme alla campagna, alle distese selvagge, alle fonti, agli alberi intonsi, arretra dove la civiltà avanza. In questa opposizione, il disagio della civiltà dà alla fine una motivazione a quel lamento per lo sfarsi delle cose, e quella sofferenza per la loro brevità che ha espressione, ad esempio, in «Spring and Fall». Il senso della caducità non è più allora da ricercare nella natura delle cose, ma viene da una motivazione esterna, legata all'avanzare minaccioso dell'opera dell'uomo. Così della caducità Hopkins ci prospetta una lettura, ante litteram, diversa da quella freudiana che vede la bellezza come necessario correlato della civiltà, un bene antropologico che distingue e caratterizza le società umane. Si vede subito che la cosa inutile, che ci aspettiamo che la civiltà stimi, è la bellezza; esigiamo che l'uomo civile onori la bellezza ovunque la incontri nella natura.15 Il godimento della bellezza si distingue per un suo modo di sentire particolare, leggermente inebriante. L'utilità della bellezza non è evidente, 89

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==