Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

la contrapposizione del «sogno» di Bottom nel Midsummer Night's Dream shakespeariano al sogno di Adamo nel Paradise Lost. Durante i preparativi dei festeggiamenti per le nozze del duca d'Atene, a Bottom, che di mestiere fa il tessitore, capita che la sua testa si trasformi in testa d'asino e che la regina delle fate faccia all'amore con lui così grottescamente trasformato. Svegliandosi dal sonno che sigilla il suo passaggio attraverso questa straordinaria avventura, egli crede d'averla soltanto sognata; «ho avuto una visione assai rara», dice, «ho fatto un sogno, al di là delle capacità umane di dire che sogno era. Non sarebbe che un asino l'uomo che pretendesse di andare in giro a esporre questo sogno. Mi sembrava di essere - e mi sembrava di avere - ma non sarebbe che un buffone patentato l'uomo che si offrisse di dire cosa mi sembrava di avere. Occhio d'uomo non ha udito, orecchio d'uomo non ha visto, mano non è capace di gustare, lingua di concepire, cuore di riferire cosa c'era nel mio sogno. Chiederò a Peter Quince di scriverci una ballata sopra. Sarà intitolata Il sogno di Bottom, perché quel sogno non ha fondo». Cosa vuol dire Bottom con questo? Sta forse solo intessendo un pun col proprio nome? Il suo è il percorso contrario a quello di chi si libera del sogno con il racconto del sogno. La «visione» infatti egli non l'ha sognata, ma ora al sogno l'attribuisce. Dato che per dirla non ha parole, l'affonda giù, scoria sorda e muta, nel mondo notturno del sogno. Fa regredire il tempo, la voce, il suono della voce nel tempo, in uno spazio, quale è quello del sogno, dove l'avanti e il dietro, la destra e la sinistra, il corpo e l'elemento interposto - per riprendere la terminologia di Panofsky - valgono solo come connotazioni di una percezione psicofisiologica; dove vista, udito, tatto e gusto possono scambiarsi tranquillamente di posto perché esclusivamente al senso interno si rapportano. 73

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