Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

mica, nella quale le cose coincidono con il loro nome. Lo dice Adamo nel racconto all'angelo: «lo diedi loro il nome, mentre passavano, e ne compresi la natura: di tale capacità di conoscenza Dio dotò improvvisamente i miei sensi». Ma nemmeno all'angelo, poi, può svelare quel nome che è immediata intuizione dell'essenza. Esso è destinato a rimanere segreto, perché pronunciarlo sarebbe poter parlare la lingua del paradiso. E abbiamo visto che quanto di essa ancora sopravviveva nella smorfia della segnatura, era andato distrutto assieme a tutti i paradisi artificiali. Capiamo, allora, in che senso Milton senta arduo il proprio tema, «mai prima tentato». Quale contraddizione frontale egli abbia aperto fra la parola e la favola poetica per far dire ad Adamo quella semplice frase: «I nam'd them». Che violenza sia imposta lì alla lingua, che giro lungo su se stessa, che sguardo sulla propria caduta. Solo quel nome segreto le impedisce infatti la definitiva ricongiunzione con se stessa. Il silenzio. L'inglese dell'apostolo puritano che ha difeso la repubblica dei santi e ne ha visto il crollo, deve ora piegarsi di fronte a quel nome muto, indicibile. Ma anche arrivare a far sentire questa sconfitta è solo argomentare di un'impossibilità che è nella lingua: una doppia sconfitta, dunque. La divisione dovrà apparire molto più all'interno che nella favola del poema, colpire al cuore stesso della parola. «E come i geroglifici furono prima delle lettere, così le parabole furono prima dell'argomentare», scrive Bacone: di quello sguardo circolare sul tempo, di quel movimento sempre a ritroso anche nel momento della conquista che l'evento della Caduta impone alla storia, la parola - parabola - esporrà il geroglifico. Allora, essa sarà quel paradiso qui che il Commonwealth dei santi non ha saputo dare. Si potrebbe cogliere tutto questo passaggio attraverso 72

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