Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

la rappresentazione incontra il suo maggiore ostacolo, così arduo da porre in pericolo l'esistenza stessa del poema. Milton ha drammatizzato questo passaggio come una difficoltà nel ritrovamento del proprio tema epico. Perché scegliere la storia della Caduta voleva dire mettere alla prova estrema la capacità rappresentativa della lingua: come mai, infatti, essa, che è caduta, avrebbe potuto dire l'al di qua della Caduta? Rimanere al di qua del significato, dove la natura è solo natura, con se stessa coincidente? Come si sarebbe potuto aprire su quel mondo senza storia, e dunque senza lingua, una distanza linguistica che lo rendesse dicibile? Dal punto di vista strettamente tematico, la distanza è espressa nella posizione di Satana, nel suo sguardo di escluso che spia, non consentendo immedesimazione nella scena della felicità. Come dire: nessuno può disfare l'evento della Caduta; dal paradiso si sta sempre a distanza. Ma questo è ancora il racconto della Caduta, del paradiso; non la Caduta, il paradiso. La lingua, qui, manca il suo oggetto, che è la felicità non meno che l'inevitabile distanza da essa. È dentro se stessa che deve ancora aprire la divisione, ponendosi contemporaneamente dentro e fuori il paradiso. Sempre a una doppia distanza, in una doppia prospettiva su di esso. In quanto dettato dalla musa, non esiste un «fuori» dal quale il testo poetico possa essere guardato: come pura risonanza interiore la «voce»-o poter avere quella voce... - è invocata; indistinguibile da quella del poeta, «se tutto mio è il canto, e non di Colei che ogni notte al mio orecchio lo conduce». Il canto sgorga dall'interno, è tutto mio, dunque tutto calato nella temporalità. Nella mortalità. Nel canto, l'essere dà prova di sé come essere linguistico. Coincidente con la sua linguisticità. In quanto mondo senza storia, però, l'Eden non può esser chiamato ad apparire altro che nella muta lingua ada71

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