Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

quella congiunzione indistinta con se stesso in cui lo pone il piacere. La tensione fra il rappresentante e il rappresentato diventa così insopportabile da trovar tregua soltanto dandosi a sua volta sbocco nella rappresentazione. Conquistandosi un suo spazio tematico. La felicità deve essere distrutta: felicità e distruzione della felicità allora si intrecciano in un unico movimento di parola. Nei giardini delle delizie, il culmine della bellezza della natura è segnalato dalla presenza di manufatti d'arte, a volte si direbbero oggetti d'alto artigianato, che imitano alla perfezione, sì da lasciar perplesso l'osservatore se di vero o di finto si tratti, organismi viventi. Non solo il confine tra l'umano e il bestiale è indistinto, perché uomini in sembianze di fiere vi si aggirano, e creature malvage in figure di donne bellissime, ma anche sembra che la natura al suo pieno di forza creativa-il mare, per esempio, o le presenze vegetali- traligni direttamente nell'inorganico: l'oro, il bronzo, l'argento allora fanno la loro perturbante comparsa. Animato e inanimato si confondono, e l'opera d'arte occhieggia come un demoniaco quasi-vivente. Sembra che una norma del Bello non astratta e ideale, non umanistica, prevalga. Fuori dalla distanza, fuori dalla prospettiva, l'oggetto artisticamente lavorato è sempre sul punto di perdere la sua fissitudine, per trapassare nel brulichio disordinato della sentience: «difficile era, per chiunque l'ascoltasse, leggere quella musica - ché tutto quanto c'è di piacevole ad orecchio umano lì era riunito in un'unica armonia. Uccelli, voci, strumenti, venti, acque: tutto concorda». È questo il triste mondo delle segnature, còlto al suo esaurirsi: il libro della natura non è più leggibile, dacché ad ogni soggetto sta incollata, come il cartiglio alla figura nell'emblema, la dicitura che ne segnala l'esatta collocazione nella scala del creato. E d'altra parte, poiché quel libro non è più segreto, ma squaderna impudicamente la sua nomenclatura, esso chiede di essere letto; sta «qui per 68

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