Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

grado del conoscere, secondo il detto di Aristotele: «intelligere est phantasmata speculari». L'universo non è più specchio del Creatore, come l'aveva guardato il Medioevo. Non c'è più quell'unità, se solo nell'immagine la creatura si è fatta apprendibile. E quanto fa il paradiso per sempre perduto è precisamente questo darsi dell'immagine: simile, non identica. Con il dramma di Enrico V siamo per un attimo sospesi sulla soglia di quella perdita: perché c'è ancora scena del corpo paradisiaco del re, e perché il simulacro se n'è già distaccato, che ci è richiesto di contemplare nel chiuso del nostro cuore. Dobbiamo pensare di vedere cavalli: è una breve parola - think-che ci impedisce la partecipazione diretta al paradiso; è quella parola, per riprendere Amleto, che ci fa codardi. Nel suo studio su Idea, Panofsky sottolinea come nell'estetica rinascimentale il neo-platonismo filosofico, che vuole l'anima depositaria dell'imprimitura divina del vero, conviva con una teoria e una pratica dell'arte interamente fondate nella sfera empirica. Da una parte, allora, il concetto; dall'altra l'ottimo artista alla ricerca della regola che, vincolandolo al dato percettivo, lo riconduca tuttavia all'immagine ideale. La prospettiva come forma simbolica si produce infatti attraverso quella sorta di paradossale estremizzazione del vissuto empirico per cui «la costruzione prospettica esatta astrae radicalmente dallo spazio psicofisiologico», e «non solo il suo risultato, ma addirittura il suo fine, è di realizzare nella raffigurazione dello spazio quell'omogeneità e quell'affinità che l'Erlebnis immediato dello spazio ignora, di trasformare lo spazio psicofisiologico in quello matematico. Essa nega dunque la differenza tra davanti e dietro, tra destra e sinistra, tra il corpo e l'elemento interposto.» Sulla stessa traccia interpretativa, potremmo dire che una duplice idea della parola giunge dal tardo Rinascimento fino a noi. Da una parte, la parola è sentita come 63

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