infinito, spettacolo conveniente all'eccellenza ed eminenza di chi non può esser capito, compreso, appreso». Questo è difficile accettare: che il pensiero del simulacro e dell'unigenito possa esser sentito come un unico pensiero. Che il ritratto, lo spettacolo, figure della duplicazione, dicano ciò che per definizione è uno, e primo: punto d'inizio che nulla precede. Viene avanti la forma di un sapere che pensa se stesso come immagine, o idolo. Che lotta per liberarsi dall'unità con se stesso che lo soffoca, per perdere il paradiso, ma può farlo solo indossando quella sorta di camicia di Nesso in cui il mito della specularità coincidente lo costringe. L'immagine che il Coro ci chiede di far sorgere dentro di noi è questo simulacro che si alimenta di se stesso, secondo la nuova figura del sapere. Momentanea sovrapposizione dell'uno e del due. E la poesia, per quanto attiene alla sostanza, in respect ofmatter, è, scrive Bacone, «una delle principali partizioni del sapere». «Per questo», continua, «si è sempre creduto che essa partecipi del divino: perché solleva la mente alla posizione eretta, sottomettendo ai suoi desideri l'apparire delle cose». The shows of things. La stessa espressione usata da Spenser nella lettera introduttiva alla Faerie Queene, e indirizzata a Sir Walter Raleigh, l'uomo di Elisabetta: «seeing all things accounted by their showes». Ossia: di tutte le cose si dà conto a seconda della loro capacità di darsi in spettacolo; così la «protratta allegoria», o «concetto oscuro», in che consiste il suo poema, sarà questo darsi come simulacro delle virtù che concorrono «to fashion a gentleman or noble person in vertuous and gentle discipline». Lungi dall'esprimere la delusione per il tradimento delle apparenze, proprio quella parola, show, ricostruisce i lineamenti di un mondo che pensa il ritratto, lo spettacolo - quanto dà conto di sé dandosi a vedere; esibendo una superficie più che alludendo a una profondità - come a un 62
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