Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

Ludwig Jelkels, in un suo recente studio su Shakespeare, ha creduto di aver scoperto una delle tecniche particolari del poeta, che potrebbe essere presa in considerazione anche per quanto riguarda Macbeth. Egli dice che sovente Shakespeare scompone un carattere in due personaggi, ciascuno dei quali non appare perfettamente intellegibile fino a quando non venga ricondotto ad unità con l'altro. Questo potrebbe anche essere il caso di Macbeth e della moglie; allora non si arriverebbe ovviamente a una conclusione considerando la moglie come una personalità autonoma e cercando di scoprire i motivi della sua trasformazione senza prendere in considerazione la personalità di Macbeth che la completa. Non intendo seguire oltre questa traccia, ma voglio aggiungere un particolare che sostiene con una certa evidenza l'interpretazione accennata: i germi di angoscia che si manifestano in Macbeth la notte del delitto non si sviluppano oltre in lui, ma in lei... Ma poi è lei che si lava le mani per un quarto d'ora e non riesce a togliere le macchie di sangue...* E Freud conclude: Si compie così in lei quanto lui aveva temuto nel1'angoscia morale che lo aveva assalito; lei diventa il rimorso dopo il delitto, lui diventa la sfida ostinata: insieme esauriscono ogni possibilità di reazione al crimine, come due parti disunite di una stessa individualità psichica; e forse sono stati copiati entrambi da un modello unico. Quest'ultima osservazione, che è quella che ci riporta a Elisabetta, è chiaramente una elaborazione tutta di * (E lo fa, possiamo aggiungere, per tutti e due: «Un po' d'acqua ci farà mondi di questo atto», Atto secondo, scena 2. Quella del ci è una sottolineatura nostra). 26

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