Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

ella soffriva, perché, in certo modo aveva creato un'ombra nei suoi rapporti con Lytton: «Come adoro Lytton! a parte i suoi atteggiamenti altezzosi... E tra noi si leva anche lo spettro di Elisabeth. Con la sensibilità di un autore egli sa ciò che io non posso negare; e non mi vuol chiedere niente; e così parliamo di inezie» (Lettera a Vita Sackville West del 15 febbraio 1929). Solo dopo la morte dell'amico Virgina Woolf esprimerà pubblicamente il suo dissenso da questo libro, nell'articolo sull'Arte della biografia (1938), per una buona metà dedicato a Strachey, dopo un'ulteriore rilettura di Elisabeth and Essex. Ma lo farà cercando di sceverare le ragioni «teoriche» del «fiasco» di Strachey: la povertà delle fonti, la «impossibile» ambizione di supplire a questa mancanza per forza di invenzione, un'ambizione che travalica - secondo Virginia Woolf - i limiti della biografia: «In Vittoria egli aveva trattato la biografia come una tecnica; si era sottomesso ai suoi limiti. In Elisabetta trattò la biografia come un'arte; disprezzò i suoi limiti». Quasi parafrasando il pensiero supposto di Lytton Strachey, il suo non nascosto desiderio di cimentarsi con la letteratura di fiction, di invenzione, la Woolf continua: Non avrebbe potuto la biografia produrre qualcosa dell'intensità della poesia, qualcosa dell'eccitamento del teatro, e mantenere anche le virtù particolari che appartengono al fatto - la sua realtà suggestiva, la sua creatività.... Tuttavia la combinazione si mostra impraticabile; fatto e finzione si rifiutarono di mescolarsi... C'è un senso di vuoto e di sforzo, di tragedia senza crisi, di personaggi che si incontrano ma non cozzano. Il biografo ha l'obbligo di fondarsi su fatti controllabili da altri. «Se egli inventa fatti come li inventa un artista - fatti chenessunaltropuòcontrollare-e tentadicombinarli 22

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