possibili vendette e blocca le congiure; anche la nave naufragata, i suoi ospiti e l'intero equipaggio vengono perfettamente «restaurati», restituiti alla loro condizione antecedente alla tempesta. Si delinea un felice ritorno, mentre il messaggio antimonarchico del Nostromo- ribelle all'autorità del re di Napoli nella prima scena - viene perdonato, e anzi sottilmente «riecheggiato» o «iterato» nell'abiura di Prospero al potere di mago, come nella volontaria prospettiva di meditazione e riposo, anziché di azione regale. La salda geometria del testo- ben più che semplice gioco elisabettiano di parallelismo e recursività notati come tali dalla critica- esprime dunque un «centro» reso significativo da tutta l'azione che lo precede e lo segue, e sottolineato dallo sguardo del suo artefice. L'ostensione di Prospero conferisce alla scena di Miranda e Ferdinando il suo più ampio senso. Non solo addita allo spettatore ciò che soprattutto va visto, ma esibisce fisicamente ciò che è «mirandum» proprio nella scena in cui Ferdinando commenta il senso latino del nome di Miranda, centro del centro dell'ostensione. Esso conferisce quel valore prioritario, quel «surplus ideologico» al costituirsi della coppia naturale, che ne fa, nel progetto di Prospero, il motore primo di una revisione della storia, come dei rapporti tra statualità e sistema delle passioni o emozioni. In primo piano appaiono Ferdinando, figlio del re di Napoli, e Miranda. Il principe, costretto alla schiavitù dalle arti magiche di Prospero sulla cui isola è naufragato, sta lavorando a un mucchio di legna. Privato dei suoi attributi e privilegi sociali, è vincolato allo stesso lavoro solitamente svolto dal servo Calibano, ma l'imposizione della fatica fisica non incide sul suo amore per Miranda, che vorrebbe prendere il suo posto per consentirgli di riposare. Lo scambio di promesse tra i due giovani, testimoniato da Prospero, implica una duplice deroga: di Miranda, alle interdizioni del padre nei confronti del prigio161
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