le predicare l'essere (l'essere che non è per me, in me, da me, in realtà non è - così ragiona un buon empirista) quanto piuttosto conoscerne il limite. Né, logicamente edotto come appare, ha mai disinterpretato l'apparente contraddizione fra l'immobilità di casa Knott e le mutevoli configurazioni nelle quali essa appare a causa delle serie vermicolari che l'attraversano, ben sapendo che la fissità è dell'oggetto, l'incostanza è della configurazione.44 Ma ciò, comunque, non lo preserva dall'errore (che è il capriccio di introdurre il proprio destino individuale nelle vicende di casa Knott), così come la rigida ontologia non aveva sottratto Arsene dall'inevitabile reazione a catena sprigionatasi dal piccolo cambiamento. Questo errore, che è intellettuale, Watt se lo porta attaccato addosso come un'etichetta, nel nome: perché sebbene l'unica esperienza utile per la comprensione logica sia che qualcosa è («ma ciò non è un'esperienza»), Watt continua ad indagare non il come è della casa del signor Knott - nel modo in cui ci hanno abituato i successivi, più smaliziati, personaggi beckettiani -ma il che cosa è.45 Egli, in definitiva, persiste nella confusione fra i limiti del proprio linguaggio e i limiti di un mondo non proprio ma ipostatizzato; vale a dire che non riconosce nella propria soggettività il limite della casa del signor Knott, così da credere di appartenere ad essa.46 Conseguenziali - e significativi - i guasti di una nuova, per lui, «fragility of the outer meaning» [fragilità del senso esterno] negli episodi dei Gall padre e figlio, accordatori, e di un'apparentemente innocua pentola. Gli accordatori erano venuti un giorno - una delle rare intrusioni in casa Knott -, avevano auscultato il piano, l'avevano dichiarato «doomed» [condannato] e se n'erano andati. Questo episodio - così bonariamente quotidiano - diviene presto un rovello per Watt, perdendo progressivamente ogni significato, «even the most literal» [anche il più letterale] e questa perdita di significato equivale innanzi141
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