C'è un punto, qualcosa dall'altra parte di questa voce che grida, che fa appello, e pone un termine, un confine alla solitudine soggettiva del lamento. Questo segnale, quasi un controgrido ci offre uno spazio allargato dentro cui leggere le parole dell'«io» dialogante. Potremmo usare le osservazioni di Jakobson sui parallelismi complessi, e pensare a questo controcanto come a una forma di parallelismo particolare che sortisce effetti simili a quelli studiati da Boodberg nelle strofe cinesi dove le funzioni del secondo verso danno la chiave per la lettura della costruzione del primo. Questo parallelismo che funziona come un raddoppiamento sintattico non è solo un procedimento stilistico, «ma si propone di arrivare a un risultato che fa pensare alla visione di un binocolo: la sovrapposizione delle due immagini sintattiche, in grado di dare all'insieme consistenza e profondità, ha l'effetto di saldare fra loro sintagmi che sembrano a prima vista appena sovrapposti.»32 Dunque uno degli effetti del parallelismo è quello di dare, nell'unione dei due termini messi in parallelo, consistenza e profondità come nell'immagine unificata del binocolo. E dunque ancora, in questo modo, il parallelismo non può essere considerato un semplice effetto stilistico: in Hopkins, che ha spinto tanto avanti la teoria e la pratica del parallelismo, i sistemi di equivalenza coinvolgono direttamente il modo di vedere l'oggetto. A questo proposito vedremo fra poco un interessante sviluppo. A livello poi di macrotesto, anche i temi si rispondono, ftmzionano come una messa in distanza, un modo di dare alle immagini «consistenza e profondità». Così quello che abbiamo chiamato un controgrido distanzia la voce dell'«io» dai confini di un segnale contrastante e parallelo che non cessa di interpellarla. Questa controvoce squilla come uria trombéJ. del giudizio, non ad annunciare l'avvento, dal cielo, sulle nuvole e sui lampi, di Cristo, ma a colpire nel sistema erettile, reattivo e predisposto del 102
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