Il piccolo Hans - anno XIV - n. 54 - estate 1987

bridge, aveva nutrito l'animo del giovane «apostolo»: «Noi siamo - e per molti aspetti - come gli Ateniesi del1'età di Pericle. Siamo i misteriosi sacerdoti di una nuova e stupefacente civiltà. [...] Sarà bello vivere i nostri giorni in una perpetua affermazione della nostra magnificenza» (Holroyd 228). Una lettura possibile, questa, delle pagine dei Principia ethica di George Edward Moore, l'allora giovane filosofo (era nato nel 1873) che tanta influenza aveva già avuto ed avrà sugli «Apostoli» di Cambridge, e, più tardi, su «Bloomsbury». Più, certo, che l'impostazione metodologica e epistemologica del suo pensiero, ciò che aveva suscitato l'entusiasmo di Strachey e dei suoi amici erano le conclusioni degli ultimi due capitoli dei Principia: l'affermazione che «Ciò che è di gran lunga di maggior valore- per quanto si sappia e si possa immaginare- è costituito da quegli stati della coscienza che si possono approssimativamente definire come i piaceri dei rapporti umani e la fruizione dei begli oggetti [...] Gli affetti personali e la capacità di apprezzare ciò che è bello nell'Arte o nella Natura sono per se stessi dei beni». È facile scorgere in questa impostazione il «programma di vita» che è sotteso, pur nella diversità dei caratteri e delle vicende, all'universo di «Bloomsbury», un universo del quale Strachey, specie nei primi anni, fu forse il principale artefice, permeandolo di quella intensa passione per i rapporti umani e per la ricerca del bello che egli aveva, sulla scorta di Moore, posto al centro di ogni possibile «bene». Ma quel lunedì, 26 giugno 1916, tutto ciò sembrava enormemente lontano. La guerra aveva, affettivamente e intellettualmente, coinvolto Bloomsbury e i loro amici: pacifisti, nel loro insieme, obiettori di coscienza, in qualche caso persino sottoposti a processo per il loro atteggiamento, molti di loro- e Lytton Strachey tra questi - vive10

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