Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

Tale finzione, nell'aspetto che assume sulla pagina, permette benissimo una demarcazione dell'inizio e della fine. Addirittura, sia la grafia manuale sia quella tipografica dispongono di segni convenzionati precisi per certificarci del punto in cui un testo si apre o si conclude. A parte gli appunti, gli assaggi, i brouillons per il loro statuto speciale, o i testi sospesi per cause esterne magari traumatiche, tutti gli scritti presentano visibilmente una fine - persino, anzi a maggior ragione, quelli che dichiarano di non finire. Se si mantenga l'opposizione classificatoria introdotta con il primo termine di finzione, a funzionare da reale nel testo poetico sarà la scrittura in quanto attività che scavalca i segni demarcatori dello scritto. Posso figurarmi lo seritto come una successione di punti, attraverso ciascuno dei quali passa la gugliata che fissa in superficie gli strati sottostanti del testo - una serie d'impunture. L'ago da materassaio, come si sa preso in prestito a ben altro laboratorio, funziona come può da metafora teorica, dopotutto non tanto peggio dello staccio kantiano. L'impuntura dello scritto manifesta la scrittura. Ma è appunto rispetto alla scrittura che occorre sostanzialmente la questione del terminabile/interminabile, e la sua aporia. A complicare un po' le cose ci si mette anche la terminologia. «Non terminabile» non è lo stesso che imperfetto, va da sé, o incompleto; ma non è neppure lo stesso che infinito, così pericolosamente vicino all'eco, e alle intenzioni particolari, di «poésie ininterrompue»; questo è un punto ben fermo. Scrittura (o se si voglia: poesia) infinita entra nei registri di una fantasmatica a tinta mistica; in ogni caso ipostatizza indebitamente un aspetto funzionale. La scrittura è terminabile? ossia ha un punto in cui si conclude senza residui? è un lavoro che fa coincidere il 193

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