Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

me come «coscienza» e come «supercoscienza», quella «supercoscienza» «superdato della coscienza del dato» implicante talora tragiche rinunzie, di cui si parla nel capitolo XVII. Il continuo oscillare del pendolo tra i «fatti bruti» e la «coscienza e supercoscienza» segna di sè la trama del Diario di guerra e di prigionia quale ci sarà dato conoscerlo, parzialmente, solo ventitrè anni dopo dall'edizione Sansoni del 1955, e, integralmente - con l'aggiunta, cioè, delle cento pagine del «Giornale di campagna» - addirittura nel 1965, allorché l'autore dopo il Pasticciaccio e La cognizione del dolore non è più il quarantenne «esordiente» dei primi anni trenta, ma uno scrittore riconosciuto e affermato: le cui ragioni, perciò, di reticenza, nei confronti del pubblico dei possibili lettori, ma soprattutto della «gente di calamaio» di cui nella «Impossibilità», non sembrano avere più motivo di essere, e il timore di essere tacciato di «retorica» a causa del proprio «orgoglio» di combattente e di volontario è ormai caduto: se non altro perché, come si accennerà più avanti, delle cagioni, non di superficie, di quella retorica lo scrittore ha ormai da tempo piena consapevolezza. 4. La retorica e la metafora Nello specifico, quando cioè scrive e pubblica la «Impossibilità di un diario di guerra», alla sua «retorica» Gadda attribuisce - sia pure rivendicandone in margine l'aspetto «passionale» («una cieca e vera passione, fatta forse (giudicandola dal punto di vista della raffinatezza italiana) di brutalità, di bestialità, di retorica, di cretinismo)» - un'origine del tutto biografico-culturale, cui ineriscono persino «le glorie della famiglia»: ministri e garibaldini, al servizio di quel «Regno d'Italia» che, leggiamo, «per i miei, era una cosa viva e verace; che valeva la 179

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