piaghe, alle nefandezze, alle rapaci crudeltà, alla piena della corruzione, riascoltare la livida esecrazione e le maldicenze più turpi contro tutti i grandi, i preti, le donne, i cortigiani, la caterva dei falsi virtuosi, continuamente ripetute, poiché non si può fare altro, significa ora accertare e ribadire infiniti segni d'impotenza, e trovare il commento dei quattro strampalati cavalieri doppiamente futile, e anche qui magari ammettere un investimento della lettura: nel peso rivelatore di questa futilità, nella fatale votaggine di quest'«ozio». Urbano VIII ha abolito diciotto santi «dal Catalogo», perché in diciotto anni del suo pontificato «è decaduta diciotto gradi la Chiesa nel continuo mancamento della virtù, ne' mali esempi di uno zelo tutto passione e interesse, nel fomento insomma di scisma per la rivoluzione di tutta la Cristianità»; «Sono in corte,» così comincia una lettera, «tanto basti per darle ad intendere l'inferno, che mi trattiene, li diavoli che mi tormentano»; un'altra lettera «toccante li biasimi dei Grandi e de' Religiosi»20 dispiega, secondo una fantasia che Ferrante coltivò fino ai suoi ultimi giorni, un mostruoso bestiario umano. Anche le donne sono demoni (e streghe e furie), assicura un'altra lettera; ma poi si diffonde a descrivere ibride complessioni animalesche: «Altrimente, se si ricercano sfingi, pantere, tigri, e altre fiere, o mostri, basta una donna per afferirci, unite in un supposto, le più crude belve, le più bestiali nature»21 . Anche nel giro degli Incogniti Ferrante, ormai, avvertiva che l'assedio si stava stringendo: certo lo sentiva su di sé, ma lo rappresentava immenso, sul mondo. Si moveva là dentro come uno scampato, e, anche se sembrava non darsi pensiero della propria reputazione e neppure della vita, doveva sapere che si preparava anche per lui qualche pericolo in un nodo, in una piega piccola e sperduta della confusa trama cui vedeva lavorare i potenti della terra, le eminenze della chiesa, preti e frati di qual161
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