Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

siasi ordine. E quei gesuiti. Uno di loro confessa in latino gli «errori della propria religione», e la sua lettera è un rosario di mali speciali, contratti nel cercare e praticare tutte le mondanità e il potere: «Nimia lucrandi aviditas, unde in Principum aulis locum habere curamus... Saecularibus honores invidemus, bona usurpamus... Vana est hypocrisis, quae vel collum incurvat, oculos demittit, os detinet sacra semper murmurans, manus non nisi corona implicatas ostendit, dum opera sanctitatem abolent, et affectus virtuti contrarios patefaciunt»22 • Poi il rosario recita i luoghi in cui i mali della Compagnia si sono celermente propagati, recita l'Europa intera, e alcune sfortune in cui la Compagnia è incappata, in Gallia, in Germania, in «veneto statu», e si chiude funereo: «Lachrimarum fluctibus profecto funebria cogito, quia fas est proximam mortem expectare, dum ante unicum saeculum corpus ita forte elanguit». In una spettrale fissità il mondo mostra i suoi mali, tutto quello che si poteva svelare è stato svelato: la breve relazione sul contenuto delle lettere del governatore di Milano intercettate dal principe chiude l'opera dello svaligio senza aggiungere nulla; lo ammette lo stesso segretario compilatore, ed è come se prestasse un tratto di consapevolezza e d'ironia al finale: lascia cadere sul quadro della consunzione poco tritume di segreti risaputi, materia di cose che stanno già lì, patenti, nel quadro. Come dire che chi sa - o vede ora nel libro - tutta quella rovina, e sa veramente fin dove è arrivata, non può essere sorpreso da alcun segreto. Ferrante è ripreso in quegli anni in un accanimento senza requie, come un male sordo: non fa altro che rimestare le sue materie, i suoi odi tormentati, ne è come posseduto. Urbano VIII si è cacciato nella «guerricciola. di Castro», una «tempesta in un bicchier d'acqua», gonfiata però da «proteste violentissime in tutta l'Italia»23 : Ferrante butta giù, contro il papa, la Baccinata24 e il Dialogo 162

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