1637; Il Sansone, 1638; La Bersabee, 1639) e di storia romana (La pudicizia schernita, 1639; Le due Agrippine, 1642), soggetti mitologici (La rete di Vulcano, 1640) e fantasiose avventure eroico-galanti (La Taliclea, 1636; L'ambasciatore invidiato, 1639; Il principe ermafrodito, 1640), e lascio i discorsi accademici, i successi, e libelli come Le bellezze dell'anima (1639), decisamente incapricciati in barocche mescolanze di materie devote e licenziosità. Del resto, anche nei romanzi non c'è alcun rispetto per la plausibilità delle memorie storiche e mitologiche, che sono manipolate e voltate, con tratto risoluto e sommario, e con un gusto per nulla studiato ma prepotente della dissacrazione e dell'anacronismo, a scimmiottare situazioni e figure del secolo, tanto da far dire a un critico che Ferrante è forse il più «contemporaneista» dei romanzieri del Seicento19• Nel Corriera svaligiato c'è un discreto incremento di questo eterogeneo repertorio; prende però in tutti i suoi elementi e motivi un tono cupo e dà l'idea di una perdita arrendevole, neppure avvilita, di qualsiasi slancio e vigore, come ingorga in questo fondo di dissoluzione e macerie, che sembra non un disinganno, una forma brutale ed estrema del disinganno barocco, ma la fine stessa del tempo. Così, certi lunghi racconti di «successi amorosi» e d'altre avventure tra il picaresco e il libertino s'aggiungono a quel repertorio come spoglie trame e materiali di romanzi abbandonati - il protagonista di una di queste avventure dice di sé, come in una didascalia: «Rassembrava almeno che la morte mi perseguitasse, quasi preda fuggita dalle sue fauci, mentre avevo faccia più d'agonizzante che d'uomo vivo» -; e ogni intenzione di divertimento e di scherzo, che si consegni a lettere di «secretari goffi», di «balordi» che infilzano «spropositi a proposito» o autentiche bestialità, di competenti nei più diversi commerci erotici, di indignati che commentano «l'uso del pagare le puttane», finisce col mentirsi, e qui prende 159
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==