«loro maligna corruzione»)17 , per svelare e ritrarre a chiare lettere l'«ingorda rapacità» degli Spagnoli, le iniquità e le disastrose balordaggini dell'imperatore, la pochezza e la «volubilità» del re di Francia, il sordido e sfrenato nepotismo del papa, la stoltezza del principe di Savoia; e se qualcuno fosse tanto coraggioso e sicuro della propria onestà da mettersi all'impresa, non potrebbe riuscire a nulla, perché la verità che fa la «sostanza» delle storie è confiscata e corrotta fin nelle fonti, essendo appassionate e bugiarde le stesse «relazioni» e «informazioni» di coloro che sono stati presenti o hanno partecipato agli avvenimenti. Il secolo è impedito e guasto negli stessi segni con cui si rappresenta: il commento di uno storico d'oggi è che siamo «ai limiti della negazione, al nihilismo, al suicidio spirituale»18• Nell'accademia veneziana degli Incogniti, tra persone tutto sommato sincere nell'assicurargli amicizia e qualche protezione, e affini nel gusto per gli scritti capricciosi e scabrosi e per un libertinage magari dozzinale, ma anch'esso proclive al capriccio e all'azzardo, Ferrante aveva trovato alimento e sostegno alla sua smaniosa ambizione letteraria e alla sua grafomania. L'accademia del Loredano era, si può dire, la zona franca di un libertinismo un po' fatuo e sventato; ma non c'è dubbio che rappresentasse anche qualcosa di più solido, un riparo, non facile a trovarsi in quei tempi, neppure a Venezia, per qualche libertà di pensiero e d'espressione, princìpi magari mal professati, ma difesi dall'accademia, fosse pure col solo fatto di esistere e di proteggere i suoi membri e amici più scapigliati e inermi. Tra questi Ferrante, che in pochi anni sfornava in quell'ambiente novelle amorose, lettere amorose, panegirici, epitalami e un cospicuo numero di romanzi, che rimestano con vena facile e stravagante, e incline (com'è da aspettarsi) all'oscenità, argomenti di storia sacra (La Susanna, 1636; Il Giuseppe, 158
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