Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

rio di quel chiostro di monache, pieno di tormenti, passioni, abiezioni, esemplare come può essere un labirinto e reale come un convento di Venezia o di qualche altra città, è una figura del tempo impersonale e fermo del Corriera, in cui ristagnano tutti i mali del mondo; ma porta uno di quei pesi inconfondibili, qualcosa di oscuro, come un brandello della vita di Ferrante. Ancora nel 1641 Ferrante finì in un «camerotto» della Serenissima e vi restò per sei mesi. La storia degli scritti che lo mandarono là dentro non è proprio chiara; non si sa bene se il Corriera era già stampato, e in che forma, con quante lettere, prima che incarcerassero Ferrante, e può darsi che, così com'è, il testo cominciasse a circolare quando il suo autore era rinchiuso. Eppure, se nel libro non può esserci quel «camerotto», e non s'intravede elemento od ombra di carcere per Ferrante, c'è, e s'addensa in molte pagine, un'atmosfera di carcerazione. Oppressione e carcerazione della letteratura, censurata e proibita nell'«esquisitezza» poetica dello «stile toscano» e nei libri «moderni», per sordidi motivi o stolti pregiudizi. «Qual estraordinario rigore ha introdotto un severo sindicato de' libri, ove regna la dissolutezza dei costumi?»16. I gesuiti, «come per ordinario ambiziosi, e maligni persecutori di chiunque esercita la virtù, condannano con vera invidia, benché con apparenza di zelo, quelle opere dalle quali veggono poste in disprezzo le farraggini de' loro scartafacci»; i domenicani proibiscono i libri dei migliori, e poi magari «s'avvantaggiano nel credito» saccheggiandoli, e così «hanno convertita in tirannide l'autorità posseduta nella Inquisizione». E non hanno più corso l'autenticità e il segreto delle storie. Guai a scriverne, poiché «viviamo in secoli troppo pervertiti dalla perversità de' dominanti». Bisognerebbe arrischiare la reputazione e la virtù («con soverchio pericolo di restar infetti» dalle stesse «piaghe de' Principi» a dalla 157

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