inconfondibile di quell'esistenza: null'altro, poiché non c'è nesso o passaggio, non ci sono segni del tempo, del divenire, che possano illuminare questo resto, ricuperare un senso a questa cosa della vita. Una lunga lettera reca la confidenza di un amore per una monaca, una confidenza piena di rancore, smaniante e confusa fra fantasmi e scene di vita carceraria. Inutile rammentare il tema del convento-prigione, e la pubblicistica del tempo che sul tema si diffonde, e le cocenti denunce di alcune di quelle vittime degli egoismi familiari, ma an. che di interessi politici sottilmente calcolati, inutile accennare a celebri svolgimenti letterari del tema; inutile perché qui s'aggregano e formano un esempio (per «avvertimento» contro il «ma. le attacaticcio», la «pece» di quegli «amori») gli elementi concreti di una condizione irreparabile, che pare non conosca origini, passato ed eccezione: le sbarre, i ceppi, le grate, le celle, il «ravvolgimento» di un labirinto in cui «si confondono gli affetti»13 • In quell'intrico di «ferri frapposti», in quelle angustie che formano insieme prigione e nascondiglio, si consuma senza tempo un tormento di desideri, «libidini» e bassezze, e le povere monache, perdute e come inaridite dallo struggimento e dalla rabbia, sono «Parche, le quali troncano lo stame per amorosa morte» (e non si ripete il brutale doppio senso che subito segue nel testo, a loro imprecazione). Ferrante, «giunto al tempo ch'era il fiore degli anni suoi, più dall'interesse della sua Casa che forse dalla propria volontà, venne trasportato ne' Chiostri della Religione de' Canonici Lateranensi» in Milano14 ; appena gli morì il padre, attorno al 1634, non si sentì più obbligato verso la sua nobile casata, eminente in Piacenza e «delle più illustri» dell'Italia settentrionale, lasciò il convento e accorse a Venezia, verso la sua avventura letteraria e libertina, e già «detestava con ferocia catilinaria preti, frati, gesuiti, prelati, papi»15 • Ebbene, lo scorcio carcera156
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