Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

torno di Ferrante a Venezia, nel 1641. Aveva lasciato la città l'anno prima, per seguire il duca di Amalfi in Germania come teologo e cappellano; di là ora tornava malconcio, col volto deturpato da pustole e altri segni ripugnanti di malattia. I modi e il tono con cui la lettera sulle prostitute veneziane sottintende, coi piaceri, i pericoli corsi felicemente, sembrano riandare per scorno ed esorcismo la traccia di questa sventura di Ferrante, che tornava dalla Germania «deformato nel viso (com'era forse cangiato d'animo) per alquante scrofole nel collo, e nella fronte, prese da lui nel caldo inusitato delle stufe, e forse nella domestichezza delle femine tedesche». E anche il fatto che Ferrante, come ricorda il Brusoni, imprecasse a quelle donne tedesche e desse di loro agli amici «ridicolosissime narrazioni»12 , sembra accomodare un amareggiato controcanto alla lettera sugli amori cortigiani di Venezia. Alcune memorie contraffatte, il torpido segreto di pochi frammenti: questa scrittura non concede altro al passato del suo autore, e non porta segno di speranza, o di presagio, nessun presagio per lui, neppure della morte vicina. Tutti gli elementi del tempo s'ingorgano e compenetrano nella singolare inerzia del testo e finiscono in una forma molteplice e omogenea, che è, a ben considerarla, un presente impersonale ed insuperabile. Non c'è selezione, nè mutamento: la forma ne disconosce persino la possibilità; il tempo dell'autore, che vi cerca l'assillo luttuoso (quanto lucido, se è semplicemente un tratto caratteristico della lettura) dell'evocazione e del sovrainvestimento, sta raccolto in particolari e oggetti senza legami e senza orientamento, dispersi frammenti. Quello che è caduto da qualche confusa piega o zona segreta è sparso qui come spenta materia, lettere slegate di un morto enigma; la scrittura lo porta come un peso 155

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