una servitù fedele», per trovar pregi nei servizi compiacenti e interessati e nelle più bieche cortigianerie, per non vedere le «continue gravezze» dei popoli spolpati, occhiali speciali per rubare più del solito e più destramente, e così via; balle di sapone destinate con poco costrutto a levar le macchie dalle vesti dei cardinali, che, come tutti i Grandi, conoscono ben altri mezzi e accorgimenti e possono ricorrere anche all'«altrui sangue» per «rinfrescare le loro porpore»; una cassa di «minestri» o «cazzuoli», che devono servire a un principe per rimestare gli intrighi e il velenoso impasto che si fa nelle corti di crudeltà e sordidi favori; venticinque braccia di panno alto, mandato a Napoli, dove vestono tronfiamente alla spagnola, allargando smisuratamente i mantelli con vistose «filaterie», «come usavano li farisei», e dove soprattutto c'è una corte che ne ha gran bisogno per imbucare nello sfoggio degli abiti la refurtiva, per coprire gambe di ladri e di furbi, per «ammantare le tirannidi, le ingiustizie», per mascherare con facilità, in abbondanti panneggi, la manipolazione dei meriti e infiniti raggiri e «sceleratezze», infine per lo strascico di lunga coda, che li «autentichi» tutti, principe ministri e cortigiani, come bestie. In queste cose metaforiche lo spazio e la similarità tra segno presente e segno virtuale tendono a tradursi in letterale identità, ad annullarsi in una denotazione elementare, per una sorta di catacresi diffusa nella scrittura, che in realtà dipana in metafore quasi morte, magari in oggetti mandati in giro dal Boccalini - qualche volta citato - e ormai trascinati in scambi immediati e abitudinari, le esperienze di una vita. È un'attitudine del genere ad appianare ogni anfibologia nell'investimento eterogeneo di quegli oggetti, per esempio di quel panno alto mandato a Napoli, che è materia e segno di fogge spagnolesche - confrontate con le «insegne di saltamartini alla francese» -e anche di mascheramenti e mistifi153
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