Il piccolo Hans - anno XIV - n. 53 - primavera 1987

ragione necessaria di questa lettura. Le impassibili ragioni di studio possono sostenere la lettura di uno o più romanzi del Pallavicino, o di certi suoi libelli, come di certi intrattenimenti e ragionamenti (ovviamente clandestini) tra il curioso e lo scandaloso1, ma certo non bastano alla lettura del Corriera svaligiato, in un modo o nell'altro quelle ragioni da sole la mentirebbero. Voglio dire che questo libro può incappare nelle attenzioni più stravaganti (come tutti i libri), ma che è il pensiero della morte del suo autore a reggere e a informare irreparabilmente la sua lettura. La restante farraginosa scrittura di Ferrante Pallavicino e la sua stessa morte possono uscire dall'oblio per una curiosità singolare o per funzioni tutto sommato estrinseche, come sono quelle di un'accurata bio-bibliografia o di una ricostruzione storica; ma la scrittura del Corriera svaligiato, nel pensiero della morte di Ferrante - da cui del resto non si vede come possa separarsi - prende intimo assetto e comunica persino una persuasione di verità. Quella morte miseranda è un elemento strutturale, Barthes la direbbe un morfema di reggenza, un operatore di frase nella lettera del Corriera. Il prestito da Barthes si giustifica con un'analogia più che attendibile: siamo lontani dai grandi riti dei logoteti, ma anche questo povero gioco, a opera di quel pensiero che vi interviene continuamente e ne è parte, assume un ordine, in motivi figure episodi spettrali. Per l'intromissione, esitante insistente nella lettura, di quel pensiero - la morte del suo autore - il testo scompaginato del Corriera assume una metrica, un'economia, sia pur labili, accennate sempre come se si perdessero, in segni d'estenuazione, in note spente e livide. Quel pensiero può entrare nella lettura con una materia di dettagli precisi, come si apprendono da uno storico: Ferrante Pallavicino, nel territorio di Avignone, catturato dalla polizia papale; quella valigia che ha con sé 142

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