Il piccolo Hans - anno XIII - n. 49 - gen./mar. 1986

ticamente immutato, nella prima casella si alternano due istanze grammaticali: je e tu (al tu si può difatti ridurre il vocativo «Philoctète»). Tale alternanza è legata a una serie di rilievi. La frase 1), in quanto assunzione della qualità di maestro, in certo senso si presenta come performativa: dire «io ti insegnerò» significa già realizzare nell'enunciazione l'atto che vi si esprime; là dove (frase 2), la stessa base semantica; con la sua forte conatività configura una sorta di area perlocutiva, che è l'area emozionale della disponibilità ad «essere sedotto» con cui l'allievo si consegna al maestro. Il gioco degli scambi fra i due enunciati, per cui il maestro, appena occupata la posizione vi si sottrae (cancellando la propria marca grammaticale) oppure vi compare come oggetto di invocazione, di desiderio, segnala qualcosa che ha a che fare con la natura ultima dell'insegnamento - almeno il particolare insegnamento che riguarda Gide. Se si accetta questo primo movimento, bisognerà completarlo con una terza frase che, ancorché dissimetrica, ne discende in modo logico: 3) jette mon livre (quitte-moi) Anche per questa, si potrebbe inscrivere a rigore un tu, ma ben diverso dal precedente, nella prima casella. In effeti, la casella deve rimanere vuota. Non occorre sapere in capo a chi va ad inscriversi l'atto della liberazione, del distacco, quando è l'atto in sé che occupa tutto lo spazio. Le tre posizioni si condensano, e ciò che ne esce è il vero prodotto degli spostamenti «operativi» figurati dalle frasi . precedenti. Maestro e allievo hanno mobilitato un effetto, occupando via via un ruolo e decampandone: questa operazione, messa sotto l'etichetta dell'«insegnare» è, in conclusione, il proprio risultato. Per farla breve: nella deliquescenza, 88

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